Lettera aperta al Ministro del MIUR Giannini sul dottorato di ricerca

Chiarissimo Ministro Giannini,

sono titolare dal 1989 di una stessa cattedra di informatica, e nel 2008 ho conseguito il dottorato di ricerca nel settore specifico dell’e-learning, grazie al quale a fine 2013 sono stato selezionato da Microsoft come Innovative Educator – Expert insieme a 2 colleghi in Italia e a circa 240 nel mondo.

Le scrivo questa lettera aperta perché in questi giorni sta per perpetuarsi, come ogni anno in occasione dell’aggiornamento delle graduatorie interne d’istituto, l’ennesimo sacrificio del sistema meritocratico nella scuola, troppo spesso sbandierato e reclamato da più parti a parole, per poi essere smentito puntualmente nei fatti. Un esempio significativo in tal senso è costituito dalla frequenza con cui docenti con la maggiore anzianità di servizio nei propri istituti sono costretti a lasciare il loro posto agli ultimi arrivati, in nome della famigerata legge n. 104 /1992: non si vuol mettere ovviamente in discussione il principio delle agevolazioni che possono e devono essere riconosciute al lavoratore per l’assistenza verso persone del proprio nucleo familiare bisognose di cure, quanto la sua modalità di attuazione. Appare molto discutibile infatti che la salvaguardia di un diritto di alcuni venga ottenuta con il grave danneggiamento di tanti altri, considerato che ne vanno spesso di mezzo anche qualità e continuità didattica, a scapito di studenti, famiglie e delle stesse scuole, che possono vedersi privare dei propri docenti più esperti, compromettendo non poco il know-how interno.

Venendo al dunque, la problematica che qui si vuol porre alla Sua cortese attenzione è molto più grave, poiché relativa ad un comportamento che è andato consolidandosi in questi ultimi anni nel mondo della scuola, perlomeno in alcune aree territoriali (ma, con molta probabilità, a livello nazionale), e non ossequioso rispetto alla normativa vigente: il riferimento è alla modalità di valutazione del periodo di dottorato di ricerca ai fini della graduatoria interna e dell’individuazione dei docenti soprannumerari. La normativa vigente (CCNI concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A.) non considera il periodo di dottorato come un’interruzione del servizio continuativo nella stessa scuola, come si evince chiaramente da un’attenta lettura della stessa ed in particolare dal terz’ultimo comma della premessa alle note comuni alle tabelle dei trasferimenti a domanda e d’ufficio, specifico per il periodo di dottorato, che così recita: “Detto periodo non va valutato ai fini dell’attribuzione del punteggio concernente la continuità del servizio nella stessa scuola”. Illuminante il confronto con il punto 8 dell’art. 23 (Individuazione dei perdenti posto) che, in riferimento al caso di un docente in soprannumero che voglia comunque partecipare al movimento a domanda anche al cessare della sua posizione di soprannumero, così conclude: <<…in tal caso vengono meno sia il diritto di precedenza nel rientro nella scuola di precedente titolarità che la valutazione della continuità di servizio.>> . Qui infatti viene meno la valutazione della continuità, che viene dunque ad essere azzerata, laddove per il dottorato a venir meno è la valutazione del periodo triennale, non quella del servizio continuativo! Per il dottorando la normativa prevede dunque un accumulo di un ritardo rispetto al docente di pari anzianità che non si muove dalla scuola: una penalizzazione che, per quanto opinabile, è tutt’altra cosa rispetto alla cancellazione, in un solo colpo, di tutta l’anzianità di servizio pregressa! E che di accumulo di un ritardo si tratti, e non di interruzione, lo si capisce chiaramente leggendo sempre la citata normativa che, in modo inequivocabile e coerente, usa sempre la dicitura “…interrompe la continuità …” quando vuole mettere in evidenza che in una certa situazione il punteggio di continuità deve essere azzerato (o, più semplicemente, non valutato).

Nel vano tentativo di fugare ogni eventuale dubbio, nel ricorso personale presentato al DS lo scorso anno il sottoscritto aveva fatto presente che l’art. 453, comma 6, del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.L. 16 aprile 1994, n. 297) asserisce che <<il periodo trascorso nello svolgimento di attività di studio e di ricerca è valido a tutti gli effetti come servizio d’istituto>>, concetto peraltro già espresso nell’art. 65 del Decreto Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 417. Per inciso, il DS ha rigettato comunque il ricorso, arrivando persino ad affermare, rasentando il grottesco, che nell’articolo del TU citato non si fa riferimento esplicito al dottorato di ricerca! Il risultato?: dall’essere il docente con più anni di servizio (sia in ruolo che nella scuola) e con il maggior punteggio titoli, mi ritrovo, come ormai da 5 anni, ultimo in graduatoria e per giunta (ciliegina sulla torta della riforma Gelmini), come altri informatici in Italia, dietro docenti non laureati e sprovvisti della necessaria abilitazione all’insegnamento della disciplina.

Inequivocabile pure la risposta alla INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/16952, presentata da COMINO DOMENICO (LEGA NORD) in data 19930729 at OCD – Ontologia della Camera dei deputati (http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_16952_11), dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione Jervolino Russo: <<…Si fa presente inoltre che non è possibile assimilare il “Dottorato di ricerca” ai comandi disposti in base all’articolo 65 del decreto del Presidente della Repubblica 417/74 in quanto l’attività svolta e in base alla quale viene conferita la borsa di studio o l’incarico di ricerca è già di per sé considerata a tutti gli effetti come servizio d’istituto poiché è la stessa amministrazione a riconoscere che tale attività incida direttamente e positivamente nell’ambito scolastico. Il Ministro della pubblica istruzione: Jervolino Russo. >>.

Concludo questa mia permettendomi di osservare che riesce difficile pensare che sindacalisti della scuola, personale ATA e DS alle soglie della pensione non sappiano cogliere l’evidenza di quanto sopra: il problema penso sia piuttosto quello della cosiddetta “intelligenza collettiva”, una sorta di mostro a mille teste che rischia di sovrastare e sopprimere le individualità, le voci fuori dal coro, rivendicando a sé il diritto della “saggezza delle folle”. Troppo spesso incapaci o comunque non disposte ad addentrarsi nella lettura attenta di norme, regolamenti, leggi e quant’altro, le teste che ne sbandierano le virtù e l’alimentano preferiscono l’ossequio al principio del ben più comodo “GOOGLE DIXIT” al potenziale arricchimento personale che anche il semplice studio di un testo può garantire: rischiano in tal modo di cedere facilmente il passo alla tentazione abitudinaria di una rapida sbirciatina in Google, alla ricerca di una risposta bella e pronta, omologata dalla Rete, in virtù della quale chiunque può venir elevato, come per miracolo, al ruolo di esperto, detentore della verità.

Fiducioso in un Suo intervento per porre fine al protrarsi di questa imbarazzante questione, La ringrazio per l’attenzione.

Con ossequio,

prof. Nicola Armenise
ITES Olivetti – Lecce

Pubblicato da Nicola Armenise

professione Informatica dal 1984 (Lecce); PhD in eLearning (dipartimento di Informatica dell'Università di Bari; Corso di perfezionamento In Didattica con le nuove tecnologie (Politecnico di Milano); Microsoft Innovative Educator Expert (MIEE) dal 2012. Interessi principali: chitarra fingerpicking, scacchi(2a categoria nazionale), fotografia

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